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UKI e Debian
di Fabrizio Polacco

Debian, perchè? I motivi
Intervista a Bruce Perens.
UKI is Linux
Il Progetto UKI Linux ha scelto di sostenere la distribuzione Debian.

Debian, perchè? I motivi
Il progetto UKI Linux, partito con un'ottica a largo raggio, va via via focalizzando il suo impegno verso quegli obiettivi che si sono dimostrati più a portata di mano, vuoi per l'esiguità delle sue forze, vuoi per l'immane vastità dell'impegno prefissato. Questo non è certo abbandonato, quanto piuttosto viene usato come un faro lontano verso cui dirigere la rotta nella speranza di riuscire a raggiungere il maggior numero di traguardi prima che l'abbrivio si esaurisca, cosa che ovviamente mi auguro non avvenga mai.

Ma sia una forte dose di sano realismo, che una continua disamina della realtà in cui UKI Linux si muove, impongono continue correzioni di rotta, scelte strategiche che non potranno però modificare la direzione presa.

Sono quindi diversi gli argomenti di cui si dovrebbe parlare, dall'adesione al PLUTO alla mancata (per ora) creazione di una realtà Linux locale, dai vari progetti di sviluppo software in corso con l'aiuto essenziale di Stefano Campadello, Michele Dalla Silvestra e Marco Gaiarin (per tacer di Giancarlo Bisso e di Luca Ronchi, al momento in tutt'altre faccende affaccendati), fino alle sforzo di creare una distribuzione europea di Linux.

E proprio quest'ultimo è l'argomento che voglio affrontare ora, sia perchè è quello che mi ha visto maggiormente impegnato negli ultimi mesi, sia perchè è senza dubbio il più grosso ed ambizioso tra tutti gli obiettivi di UKI Linux. Immane, ma non irraggiungibile, grazie alla particolare caratteristica di Linux, che consente all'ultimo arrivato di partire col suo sforzo esattamente dal punto a cui altri erano giunti, senza dover faticosamente ripercorrere tutto il cammino. Caratteristica questa che, se ben notate, è propria anche del cammino che la scienza ha percorso in questi ultimi due secoli (ed anche da prima, in verità), e che è nei fatti contrastato da coloro che (in piena legittimità, sia ben inteso) prediligono lo sviluppo industriale ed economico.

Ma questo, visto che leggete il PLUTO JOURNAL, vi è certamente noto, e preferisco dibatterlo sul newsgroup it.comp.linux.pluto , dove tutti possono contribuire alla discussione, piuttosto che starmene qui in cattedra ad ammorbarvi con le mie visioni distorte anche a causa della latitudine.

Ma proprio la latitudine è all'origine di tutto, il fatto cioè di vivere in un paese dove si parla una lingua cosiddetta straniera (qui due, a dir la verità) e poter toccare con mano quel che questo può significare per un utente di Linux. Mi spiego: di solito l'argomento lingua evoca visioni di nazionalizzazione di Linux, alla Windows, cioè di mera sostituzione dei testi originariamente in inglese con testi tradotti in un'altra lingua. Questo è uno degli obiettivi che il Pluto si è prefisso con varie iniziative, prima tra tutte la traduzione degli HOWTO e delle pagine di manuale dei programmi di Linux, ma non è l'obiettivo di UKI Linux, o meglio, ne è solo una parte, necessaria, ma non sufficiente. Alla Windows, dicevamo, perchè proprio questo è quanto ha fatto la Microsoft con le versioni nazionali dei suoi prodotti, in grado però di soddisfare le esigenze di utenti che vivano in ambienti sterili ed isolati. Il che non può certamente essere vero in questa Europa che tutti noi stiamo edificando non senza fatica e rinuncie.

UKI Linux sarà quindi un ambiente multilingue, in grado cioè di essere contemporaneamente utilizzato da utenti che parlino lingue diverse o, meglio, da utenti che parlino più lingue. Non pretendo di poter invertire una tendenza alla proliferazione delle tastiere nazionali, cosa che ha radici profonde nella dattilografia, e che potrebbe essere risolta solo con un intervento dall'alto (certo autoritario ed anche molto oneroso), ma almeno, laddove questo è tecnicamente possibile, permettere l'agevole utilizzo a chi, singolo utente o grande azienda, ha necessità di utilizzare lingue dotate ciascuna di particolari caratteristiche.

Poichè attualmente non riesco a vedere una soluzione tecnica al problema, ho limitato l'ambito di questa realizzazione alle lingue che utilizzano l'alfabeto Latin-1 (iso 8859-1), ambito già strettino nonostante il fatto che questo alfabeto sia usato in tutti i paesi che al momento compongono l'Unione Europea, con la sola, ma gigantesca, eccezione della Grecia, che usa l'alfabeto iso 8859-7.

Il futuro, anche molto prossimo, vede avvicinarsi il giorno in cui anche i paesi che usano il Latin-2 (la polonia e i paesi slavi) ed addirittura quelli che usano l'alfabeto cirillico (iso 8859-5) saranno partecipi a pieno titolo di questa unione. Per quel giorno sarà forse disponibile la soluzione (assolutamente insoddisfacente, a mio vedere) del cosiddetto unicode, una specie di sommatoria di tutti gli alfabeti del mondo, che crea più problemi di quelli che risolve e che, credo, non farà altro che rinverdire i fasti dell'obsoleto (e rinnegato) alfabeto ASCII.

L'obiettivo della internazionalizzazione di Linux impone, tra l'altro, modifiche ai programmi, e questo, a meno che non vogliamo sperare che l'intera comunità di Linux aderisca al progetto, presuppone il controllo sui programmi, cioè, la creazione di una distribuzione ad hoc.

Il che significa:

  • creazione o scelta di un sistema di installazione
  • creazione o scelta di un sistema di pacchettizzazione
  • raccolta, verifica ed eventuale modifica di ciascun pacchetto software
  • creazione di un sistema di raccolta dati sui malfunzionamenti (siamo realisti! non può funzionare al primo colpo) e sulle correzioni relative
  • predisposizione di un sito FTP (almeno)
  • eventuale produzione di CD.
il che non è certo poco, ma ... come abbiamo ricordato prima, Linux ci consente di partire con la realizzazione del nostro progetto esattamente dal punto raggiunto da altri. E così non abbiamo alcun bisogno di creare ex novo tutte queste cose che sono state fatte e rifatte, se siamo soddisfatti di come sono state realizzate.

Per questo motivo dopo una attenta anche se forzatamente superficiale ricerca ho fermato la mia attenzione sulla distribuzione Debian e, dopo averla provata per tutta l'estate, ho deciso di usarla come base su cui sviluppare la distribuzione UKI.

Infatti Debian è dotata:

  • di un sistema di installazione minimale simile a quello usato dalle altre distribuzioni, ma che consente di proseguire l'installazione agendo in un ambiente già Linux e persino multi-console.
  • del miglior sistema di pacchettizzazione attualmente disponibile, in grado di installare/disinstallare, verificando le dipendenze ed i conflitti tra i pacchetti e nello stesso tempo di preservare completamente le configurazioni individuali tra gli aggiornamenti, persino in presenza di cambiamenti sostanziali nei pacchetti.
  • di una raccolta di 500 pacchetti, ciascuno verificato e modificato in modo da aderire a pochi standard minimali che Debian si è dato, quali il FHS (già FSSTND); ciascun pacchetto è in carico ad un manutentore che funge da tramite tra Debian, i suoi utenti ed i creatori originali del pacchetto.
  • di un sofisticato sistema di tracciamento dei bachi rilevati nei singoli pacchetti e delle correzioni apportate o fatte apportare dai curatori dei pacchetti originali.
  • di un sito FTP non commerciale che ha già numerosi mirror sparsi per tutta la Rete.

Inoltre Debian non è:

  • collegata ad alcuna azienda commerciale che ne possa condizionare le scelte, che sono invece dettate da pure motivazioni tecniche.
  • produttore ufficiale di CD, cosa che potrebbe se non creare conflitto, almeno mettere in ombra una eventuale distribuzione di UKI Linux su CD.
  • più supportata ufficialmente dalla FSF; ha rinunciato proprio per evitare di essere condizionata nelle sue scelte da considerazioni esterne, benchè non-commerciali.
  • forzatamente legata all'uso degli strumenti GNU, tipicamente emacs e texinfo, ma ha, in piena autonomia, deciso di trasformare tutta la documentazione in HTML. Si dimostra quindi orientata all'innovazione.


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